L’arte di essere Uke

Questo brano di Saotome Sensei, allievo diretto di O’Sensei, affronta un aspetto basilare della pratica,su cui ognuno dovrebbe concentrarsi.

tratto da “LA VIA DEL BUDO – I principi dell’Aikido”

La pratica dell’aikido richiede la presenza di un partner. Alcuni esercizi possono essere compiuti da soli per valutare la propria forza e le proprie risorse tecniche, ma la chiave per un buon allenamento è nell’interazione che si stabilisce tra uke e nage (tori). Alcuni semplificano le definizioni di uke e nage in “attaccante” e “difensore”. Ma è una semplificazione che fuorvia dalla vera natura e dall’importanza dei ruoli di nage e uke. Più correttamente, nage significa “colui che proietta” e uke “colui che riceve la forza”. Ragionando in termini di attaccante e difensore si finisce con l’identificare nage come colui che viene attaccato ed esegue le tecniche ed uke come una sorta di manichino con cui nage si esercita. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità.

Ukemi è l’arte di essere uke, e la qualità della pratica di nage dipende da come uke ha imparato quest’arte. Ukemi crea le condizioni che rendono una tecnica appropriata, reagendo correttamente ai movimenti di nage, ed accettando qualsiasi tipo di caduta che concluda la tecnica. In breve, uke è responsabile della creazione delle condizioni che consentono a nage di imparare. Se uke non ha il senso degli effetti di una tecnica, nè elasticità, o reattività nei confronti dei movimenti di nage, o se ha paura ed è goffo nelle cadute, nage non sarà in grado di studiare la tecnica con efficacia.

Nell’esecuzione di qualsiasi tecnica i praticanti devono alternarsi nei ruoli di uke e nage. Ma dovete considerare il tempo che passate nel ruolo di uke non come una sorta di intervallo che vi separa dal momento in cui assumerete quello di nage, quanto piuttosto  come un’opportunità di imparare l’importanza del ruolo di uke, uguale o addirittura maggiore di quella di nage. Infatti, coloro che eccellono nell’ukemi eccelleranno più facilmente nelle tecniche, per la ragione che saranno più abili nell’assorbire la conoscenza -attraverso il corpo- delle sensazioni che si provano durante una tecnica ben eseguita, assorbendo la conoscenza anche attraverso la mente. Sviluppare un buon Ukemi è la via più breve per acquisire abilità in Aikido.

Subire ukemi non significa che svolgete il ruolo del perdente. È uno studio sulla comunicazione, sulla percezione e sulle capacità di autoconservazione. Ancor più è un mezzo per esercitare un controllo su voi stessi e su quanto vi circonda.

L’allenamento ukemi ha un grande merito dal punto di vista fisico; rafforza il corpo ed aumenta la flessibilità. Inoltre, più vi sentirete a vostro agio nell’ukemi, maggiore sarà il divertimento nella pratica dell’Aikido. Raggiungere il divertimento nella pratica non vuol dire far venir meno la concentrazione; potete essere rilassati ed al contempo seri.

saotome-sensei

5 thoughts on “L’arte di essere Uke”

    1. Secondo me Saotome non intendeva serio nel senso di accigliato, quanto invece in quello di presente a se stesso e concentrato, cosa che non esclude il divertimento, come sai benissimo, dato che l’ho imparato da te.
      Il problema è invece quando il divertimento non è supportato dalla concentrazione, perchè può capitare di farsi male, e allora non ci si diverte più (tristemente autobiografico… 🙂 …).
      p.s.
      sei passato di grad? cos’è sta storia del “male assoluto/totale”?

  1. Ringrazio il dojo Mizu Perugia per avere specificato che molto lavoro su quest’articolo è del M° Rino Bonanno :
    questo l’articolo originale
    Rino Bonanno
    Ricevere e cadere….
    In una recente riunione a casa di un noto maestro di Aikido, caratterizzata oltre che da discorsi costruttivi sul futuro delle discipline marziali in Campania anche da eccessive libagioni, canzoni napoletane e buona cucina partenopea, l’attenzione si è focalizzata su un tema a dir poco singolare.
    Il lettore potrebbe pensare che i fumi dell’alcool abbiano potuto ottenebrare le menti dei partecipanti al convivio, ma , anche se in una condizione rilassante come quella….le conclusioni sono state unanimi e lucidissime, dato il noto autocontrollo dei maestri commensali, guadagnato con lunghi anni sui tatami nazionali.
    Come proclamavano gli antichi ..” in vino veritas”..e così è stato!
    E dunque quali sono tali verità?
    Il discorso concitato teso a focalizzare le diversità sostanziali tra le discipline marziali da noi praticate: Judo, Aikido, Karate , Kendo, Taekwondo, Ju Jitsu, a poco a poco, in sordina nell’ebbrezza del buon Lacrima Christi e memori di essere anche buoni cristiani prese una piega diversa.. armoniosa come nell’ultima cena di religiosa memoria. Si iniziò a trovare, ascoltate.. ascoltate, punti di accordo e similari nelle arti marziali!
    Alla quarta bottiglia di cui sopra i visi dei nostri tra il rubino ed il serafico annunciavano al mondo intero l’avvenuto accordo e all’appartenenza ad un gruppo unico.
    Dissolti gli antichi conflitti l’attenzione si spostò ahimé a definire le diversità tra le discipline marziali e gli altri sports.
    Non si sa se per illuminazione divina o per intuizione da vino uno dei citati maestri di Judo fece notare che nei nostri sports quelli di combattimento, per potere avanzare c’è bisogno di un partner che riceva l’azione aggressiva.
    Questo ruolo è ricoperto di volta in volta dallo stesso praticante che in giapponese viene definito “ Uke” ( ricevere ) e “ Ukemi “ è l’arte di ricevere, anche se il termine designa le classiche cadute da proiezione.
    In effetti Ukemi rappresenta l’azione ultima dell’arte del ricevere : le cadute.
    Folgorati come sulla via di Damasco da tale verità osammo affermare e senza tema di smentite che le arti marziali sono tra gli sport gli unici che prevedono una persona, un’anima, a prima vista sacrificata, per potere apprendere l’arte.
    Nessun’altro sport prevede questa figura!
    Colui che “ riceve “ però sarà colui che “darà” dopo.
    A questo punto fu chiesto di esprimere per la propria arte quale era il concetto di Uke e Ukemi.
    “ Ricevere e cadere per poi dare e rialzarsi” sentenziò il noto maestro di Aikido.
    ….per dare e rialzarsi
    L’Aikido è un’arte marziale di difesa e non si può praticare senza la presenza di un partner.
    E’ vero che alcuni esercizi tesi a valutare la propria forza e capacità tecniche possono essere compiuti da soli, ma per un training ottimale è richiesta l’interazione tra Uke ( colui che riceve ) e Tori o Nage ( colui che dà ).
    Non bisogna fare l’errore di semplificare le definizioni di Uke e Tori in “ attaccante” e “difensore”.
    Ragionando in tali termini si finisce con l’identificare Tori come colui che viene attaccato ed esegue la tecnica e Uke come una specie di manichino con cui Tori si esercita.
    Letteralmente invece, ed è sottile la differenza, Tori significa “colui che proietta” e Uke “colui che riceve la forza”.
    L’arte di essere uke si dice “ Ukemi” e la qualità della pratica di Tori dipende da come Uke ha imparato quest’arte.
    E’ come dicono i maestri “ Uke è il seme di Tori”.
    E’ singolare come nella nostra società, al di fuori delle arti marziali, questo ruolo di uke non voglia essere più ricoperto…tutti vogliono essere subito i vincitori, senza percorrere la difficile via
    dell’apprendistato, al contrario della società giapponese, dove tale ruolo è di fondamentale importanza per poi diventare dirigente o maestro di qualsiasi arte.
    Ricordo che da giovane amavo la pesca subacquea, che praticavo anche d’inverno e per imparare l’arte ho fatto da “uke” ad un noto campione campano…in umiltà, iniziando come barcaiolo per ore ed ore sotto il sole d’estate o la pioggia d’inverno ( appena pioveva il mio maestro voleva che andassimo in mare!). come suo Uke ho rubato il mestiere che a dir il vero comunque mi prodigava come suo paziente allievo.
    Allora praticavo già Aikido negli anni ’70 e mi è stato facile comprendere cosa si nascondeva dietro il concetto di Uke..il senso ed il valore di questo ruolo…ma torniamo all’ambito marziale.
    L’Uke deve reagire correttamente ai movimenti di Tori, accettando qualsiasi tipo di caduta che conclude la tecnica.
    Uke è responsabile delle condizioni che consentono a Tori di imparare.
    Se Uke non ha la percezione giusta ( richiede la conoscenza nei minimi dettagli di una tecnica) se non ha il senso degli effetti della tecnica, se non ha flessibilità fisica e mentale, se si muove prima o dopo, se non ha il senso del tempo, Tori non sarà più in grado di apprendere una tecnica con efficacia.
    La gente vede solo il lavoro di colui che esegue la tecnica e non si rende conto del grosso è più lavoro di uke, che apprende ciò che è dietro la tecnica stessa, fattori più interiori.
    I ruoli nell’Aikido come nel Judo sono interscambiabili cosicché l’apprendimento a più livelli coinvolge ogni atleta. Essere Uke fa sì che siano coinvolti più sensi oltre quelli fisici. E’ una forma di sensibilizzazione eccezionale che tocca le sfere più nascoste.
    Il doversi rapportare di volta in volta a persone a volte alte a volte basse di statura, di sesso diverso, fragili o forti, simpatiche o antipatiche, di età diversa richiede pazienza e accettazione..il rapporto non è verbale ..è un vero contatto fisico e di mente..unificare la propria respirazione all’altro è come mettersi sulla sua lunghezza d’onda. ed è indubbio che i praticanti ad alto livello di arti marziali e nello specifico dell’Aikido, che dà molta importanza a questi aspetti , siano persone di una sensibilità e comprensione particolare.
    Quest’addestramento purtroppo manca a molti atleti di altri sport e purtroppo anche a chi fa politica.
    In Giappone è quasi un obbligo per i dirigenti praticare un’arte marziale!
    Rispetto a noi però i dirigenti nipponici danno largo spazio a coloro che fanno il lungo apprendistato da uke e permettono loro spazi dirigenziali più ampi..da noi e soprattutto nell’ambito marziale si tende sempre a tenere nel ruolo di uke colui che sul campo ha conquistato con fedeltà e dedizione il successivo e meritato ruolo di maestro o dirigente!
    ( Dirigenti fate che i vostri uke diventino tori! )
    Il tempo, dunque che uke passa nel suo ruolo non è una sorta di intervallo che lo separa dal momento in cui ricoprirà il ruolo di tori, colui che esegue la tecnica, quanto al contrario un’opportunità di imparare l’importanza del ruolo di Uke.
    Chi eccelle nell’arte di ukemi eccellerà di più nell’arte di Tori, perché saranno più abili nell’assorbire la conoscenza, attraverso il corpo, delle sensazioni che si provano durante una tecnica ben eseguita. Essere un buon uke, quindi ricevere è la via più breve per acquisire abilità in Aikido e quindi poi dare l’arte a sé stessi ed agli altri, cioè diventare Maestro.
    Subire poi le cadute “ le ukemi” non significa perdere. E’ uno studio sulla comunicazione, sulla percezione, sulla capacità dell’autoconservazione.
    Saper cadere bene, senza ingiurie, significa sapersi rialzare con più autostima e fiducia in questa società.

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